La Sabina ha un grande asset intangibile ed invisibile al suo attivo: un notevole capitale intellettuale inespresso che fa fatica ad emergere e di cui è anche difficile rendersi conto.
Come noto il capitale intellettuale di un ente, un’impresa o un territorio, si articola in tre perimetri precisi: il capitale umano, detto anche capitale pensante, che è quello fatto di persone, di storia delle stesse, della loro creatività e della sommatoria delle loro caratteristiche personali; poi c’è il capitale organizzativo o strutturale, detto anche capitale pensato, che misura quanto il capitale umano sia riuscito nel tempo a mettere a sistema ciò che ha ereditato dalla storia e dalla tradizione; un capitale importante che all’inizio forse era solo improvvisazione, ma che alla fine ha trasformato l’intelligenza individuale in intelligenza collettiva. Infine, c’è il capitale relazionale: il capitale percepito, ovvero la reputazione di cui un’entità gode nei confronti dei propri gli stakeholder. E’ ovvio che i tre tipi di capitale tendono ad influenzarsi l’uno l’altro: la reputazione attira risorse umane di qualità che a loro volta generano capitale organizzativo che consentono di rafforzare il capitale relazionale; il tutto attira ancora altre risorse e via così in una spirale positiva e di crescita.
Una volta, in un seminario rivolto a dirigenti, chiesero a Lippi che aveva appena vinto i mondiali di calcio, perché il Brasile, una squadra molto più forte individualmente avesse perso con la nostra compagine e Lippi offrì, forse senza saperlo, la definizione più semplice di capitale organizzativo e di intelligenza collettiva: il Brasile, disse, era solo una sommatoria di campioni, l’Italia era invece una squadra; più debole singolarmente ma di gran lunga più forte tutta insieme.
L’esempio si presta a descrivere la situazione della Sabina: una sommatoria di campioni che non è ancora squadra, di fatto un grande parco culturale potenziale che però non è ancora parco e che stenta ad essere anche una semplice sommatoria di iniziative ancorché pregevoli. Oggi esiste una sommatoria di tanti soggetti, di tante iniziative di altissima qualità culturale che spaziano dal teatro alla musica, dal cinema ai siti archeologici, dai musei alle tradizioni, dalla cucina al paesaggio, dalle abazie ai castelli, ma mancando ancora il capitale organizzativo si registra un modesto capitale relazionale e non percepito neanche a livello locale. La concorrenza della vicina Roma è solo un alibi: in realtà i sabini sanno poco di ciò che di culturalmente rilevante avviene nella loro terra e meno ancora sanno i milioni di persone che vivono nella capitale. Attenzione, però, non è che in Sabina non esista un patrimonio relazionale, esiste ma è frammentato in un dadaismo di contesti specifici molto spesso troppo autoreferenti che si accontentano del riconoscimento nei loro specifici ambiti di azione. In mondo globalizzato le nicchie di mercato e le enclave culturali rischiano di essere letti come ghetti di qualità. Purtroppo, si lavora a silos senza condividere neanche i calendari delle iniziative e fare crosselling nella comunicazione delle stesse che, si badi bene, non sono in concorrenza tra loro sui contenuti, ma che tuttavia finiscono per concentrarsi tutte in 45 giorni di estate con un bacino di utenza prevalentemente locale che tralascia lascia tutto il resto dell’anno. Una cultura ad intermittenza o solo campanilismo miope?
E’ chiaro che il solo capitale culturale umano della Sabina anche se articolato e di alta qualità non è sufficiente per creare un Parco Culturale: quel capitale umano è solo una sommatoria di campioni, non c’è la squadra e se non si costruisce un capitale organizzativo la squadra non ci sarà mai e questo si scarica sul capitale relazionale con il rischio di mortificare qualsiasi innovazione. La creatività, infatti, rimane un caratteristica individuale e non diventa mai innovazione del territorio come invece avviene in altri contesti italiani con meno risorse delle nostre.
A questo punto è chiaro che serve un po’ di ingegneria sociale: al di là dei fondi del PNRR, ci sono anche altre risorse finanziarie da utilizzare, ma mancano ancora gli attori, gli ingegneri sociali quelli che creano e non chiedono, quelli che, come diceva Kennedy, si interrogano su che cosa possono fare per il loro territorio e non che cosa il territorio può fare per loro.
Per attivare un po’ di ingegneria sociale in Sabina serve una chiamata alle armi di tutti i soggetti e gli attori sociali. In primis la società civile, intesa in questo caso come volontariato culturale, che può e deve organizzarsi, magari aggregandosi intorno ad un’idea forte: quella di contribuire a creare il Parco culturale della Sabina. Poi ci sono i grandi attori del non profit, fondazioni ed associazioni in testa, che insieme agli enti locali hanno una grande responsabilità: quella di non nascondersi dietro l’alibi delle scarse risorse che troppo spesso nasconde solo la carenza di idee ed una pigrizia intellettuale. Ci sono inoltre le istituzioni a diretto contatto con i giovani, come le scuole, le università e gli enti di ricerca che non sono pochi nel territorio, e che possono giocare un ruolo fondamentale coinvolgendo gli insegnanti, i ricercatori e gli studenti di ogni età. L’identità di un territorio, infatti, passa anche attraverso la conoscenza delle realtà culturali che su di esso insistono: realtà che invece sono spesso sconosciute e non solo ai più giovani e che rappresentano viceversa un enzima potente per far lievitare quel capitale intellettuale che può caratterizzare un territorio.
Anche le imprese, infine, locali, nazionali o addirittura multinazionali possono avere un loro ruolo nel far lievitare il patrimonio culturale della Sabina interpretando la loro responsabilità sociale e dedicando attenzione alla cultura del territorio che oggi gode grazie all’art bonus anche di innegabili vantaggi fiscali. Alle imprese, alle organizzazioni di categoria delle stesse non si chiedono elargizioni finanziarie o atteggiamenti filantropici, ma solo mecenatismo di idee, coinvolgendo magari il loro personale per creare reti e reti di reti con ricadute importanti sul benessere organizzativo delle stesse imprese, sul senso di appartenenza del loro personale ed anche sul welfare aziendale.
Per realizzare ingegneria sociale non c’è da inventare nulla: basta guardare quei territori che con risorse storiche naturali e culturali di gran lunga inferiore a quello della Sabina hanno investito in capitale organizzativo e in capitale relazionale rafforzando nel complesso il loro capitale intellettuale. Un esempio importante per la Sabina che partendo dal qual notevole capitale che possiede, potrebbe fare molto di più per candidarsi a scrivere pagine importanti del proprio futuro.
La Sabina merita un investimento in ingegneria sociale. La Sabina ha i giocatori ma ora deve mettere a punto la squadra per dare valore aggiunto ad un territorio che è fatto di luoghi, borghi, arte, cultura, teatro, musica, storia, tradizioni, natura e bellezza. L’associazione Parco culturale della Sabina si candida a mettere in rete coloro che sono interessasti a creare la squadra provando a trasformare in musica ciò che senza coordinamento, chiamiamola armonia, rischia di sembrare rumore anche se grande qualità.